venerdì 12 marzo 2021

Risveglio

 












Da molto tempo non scrivo più, non ho più avuto voglia di condividere nulla, fino ad oggi. La fotografia, quella di chi la produce con sentimento e trasporto, è crudele con chi come me, se non è pienamente sereno, non riesce a esprimere il proprio stato d'animo, le proprie gioie, le paure, le difficoltà e gli stati d'animo. 


Il 2020 è stato un anno particolare per tutti, e sicuramente la poca libertà di spostamento ha influito sul mio umore. In più, dal 30 dicembre 2019, da prima considerando la gravidanza, è entrata a far parte della mia vita la piccola Eva, che comunque ha fagocitato ogni istante della mia vita. Mi ha reso veramente felice. Ed è strano pensare come in un momento così difficile per tutti, ci sia qualcosa che riesca a farti dimenticare ogni cosa. Ho fotografato poco e male, è vero, ma mi sono dedicato pienamente a lei.


Oggi sono riuscito a prendermi un po' di tempo per me, veramente dopo non so quanto tempo, e sono riuscito di nuovo a fotografare per me stesso, a premere il pulsante di scatto e a fare entrare dentro l'obbiettivo tutta la mia serenità di quel 1/160 di secondo.


Non aveva senso mostrare questa immagine senza raccontare quanta bellezza ho sentito dentro.


Spero di riuscire ancora a sentirmi così, lo devo a me stesso prima di tutto.

venerdì 11 gennaio 2019

Incubo 9-01-2019

Ci sono dei sogni talmente reali che, quando ti svegli, ricongiungersi con il mondo che ci circonda richiede tempo e ossigeno. Sono quei sogni in cui tutti i sensi vengono coinvolti e amplificati dalla potenza del nostro subconscio, credo.

Qualche notte fa' ero sdraiato su un tavolo operatorio, circondato da gente in camice bianco, medici. Avevo la vista offuscata da una patina rossa, come una vignettatura molto intensa, quasi finta. Credo fosse sangue.

Uno degli uomini in camice mi si avvicina e comincia, con un bisturi molto affilato, ad incidere il torace. La sensazione era quella di un dolce e delicato pizzicorio, quasi piacevole. Non vedevo l'azione del medico, ma cominciavo ad avere paura. Sentivo la lama scivolare delicatamente fino al ventre e percepivo la pressione che l'uomo metteva per far si che la lama incidesse fino alla profondità desiderata.

Cominciavo ad avere paura, ma non riuscivo a muovere un muscolo. Gli occhi spalancati, immobili, guardavano il soffitto. Il resto del corpo immobile, ferma anche la respirazione.

Il terrore si trasforma in panico quando il medico, prima con un divaricatore, poi con le mani, comincia ad aprire il torace: sentivo lo sterno e le costole scricchiolare, fino a cedere alla pressione delle mani. Nessun dolore, solo rumori, percezioni lievi e terrore.

Il mio sguardo è immobile e insanguinato era bloccato verso il soffitto pieno luci artificiali.

Dopo avermi aperto torace e ventre, il medico comincia a tagliare con delicatezza, ma con il giusto vigore, l'interno del mio corpo. Stava estraendo i miei organi, ad uno ad uno senza fretta.

Non ero in una sala operatoria, ma sul tavolo dell'obitorio. Ero vigile, ma morto.

sabato 1 settembre 2018

Riflessioni sull'estate




Di solito il mare estivo è per me carico di emozioni e sensazioni legate all'infanzia. A volte provoca in me una regressione temporale tale da farmi percepire le cose che ho intorno, in modo differente dal reale. Non è una cosa strana, credo che chiunque abbia vissuto da piccolo l'estate come un momento felice, e per me lo era, da adulto, anche inconsapevolmente, si trovi a ripercorrere certe strade mentali per tornare a quelle sensazioni ormai lontane.

C'è poi da dire che il mare della mia infanzia e adolescenza non è poi cambiato molto: i luoghi che frequentavo sono, più o meno, gli stessi che frequento adesso, non c'è nulla di nuovo. Anche le cose e le azioni che si fanno al mare non sono poi molto diverse da trent'anni fa: ombrelloni, castelli di sabbia, secchielli e palette, i piedi che bruciano sulla sabbia o che si tagliano sugli scogli, le scottature, le bambine con le trecce e le belle ragazze, gli uomini pancioni - adesso io sono uno di quelli? - le nonne con la pasta al forno, le ciambelle, le pollanche, le scottature, l'odore degli abbronzanti, il rumore delle onde, la pipì in acqua, la sabbia nel costume, sott'acqua senza maschera, i tuffi dagli scogli, gli zoccoli del dottor scholl, l'attesa dell'avvenuta digestione, le meduse, i ricci, le patelle. Persino la visione di una donna in topless, oggi, mi rimanda all'emozione di adolescente nel vedere un seno nudo.

Scrivere di queste cose, soprattutto a fine estate, mi fa venire uno stupido mezzo sorriso sognante, un piccolo ghigno accompagnato da una sensazione di piacere mista a nostalgia, si tratta di quella regressione di cui parlavo all'inizio.

Purtroppo  può capitare che, mentre sono sdraiato in spiaggia o sugli scogli e la mia mente è accarezzata da questi ricordi tanto piacevoli, possa comparire l'unica cosa che riesce a creare un corto circuito in questo training autogeno verso il piacere: le maschere da snorkeling di Decathlon.

giovedì 3 agosto 2017

Riflessioni su un bicchiere né vuoto, né pieno

ATTENZIONE, scrittura tutta d'un fiato, potreste trovare degli errori imperdonabili.

E' da un po' che non scrivo, quantomeno è da un po' che non condivido i miei pensieri. C'è un motivo, non esclusivamente legato agli impegni lavorativi o alla mancanza di idee, ed il motivo è una riflessione fatta personalmente, dopo essere stata indotta, sull'importanza della riservatezza su un certo tipo di pensieri, quelli più intimi che hanno bisogno di maturare. Ci sono cose che è utile tenere dentro, farne tesoro, farle crescere e farle diventare pensiero. Soprattutto le cose brutte, le delusioni. Alcuni di questi pensieri li ho "dovuti" scrivere per sfogo, ed ora sono conservati poche pagine prima di questa, nel mio quaderno, al sicuro.

Questo lungo periodo di astinenza dalla condivisione mi è servito per assorbire alcuni brutti colpi e trovare il modo per rialzarmi con vigore.

Questo lungo periodo mi è servito per fare una banalissima analisi cinica della mia vita: chi sono, cosa faccio, chi fa parte della mia vita, chi è solo un passeggero momentaneo, cosa ho fatto, cosa voglio fare, con chi, dove posso migliorare, dove non posso peggiorare, etc.

Da questa banale analisi, con cauto ottimismo, posso dire di esserne uscito integro. Rispondere a queste domande non è stato così semplice, ma è stato utile per riprendere in mano le redini della mia vita, umana e professionale. Da qualche mese sono nuovamente forte, pronto a mettermi in discussione su tutto.

Ciò che più mi è servito è comprendere che la qualità della mia vita è strettamente legata alla qualità delle persone che ne fanno parte.

Per essere più chiaro, non ho fatto altro che paragonare la mia vita ad un concetto con cui tutti ci siamo confrontati: quello dell'ottimismo e del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Da buon fotografo ho una passione per il rapporto tra spazi pieni e spazi vuoti e per i significati che ne conseguono: come in fotografia non è la quantità di cose che vengono inserite nella composizione di un'immagine a fare una buona fotografia, ma il rapporto tra pieni e vuoti, tra luci ed ombre, il loro equilibrio, così anche nella vita non è importante riempire il bicchiere di qualsiasi cosa, ma di cose e persone di qualità. Non voglio bere un bicchiere pieno di whiskey di scarsa qualità, ma sarò contento di un dito del migliore disponibile.

Morale della favola: selezioniamo chi ci circonda, quello che facciamo, ciò che desideriamo, per vivere meglio e crescere sempre di più.

domenica 27 novembre 2016

LAPHROAIG 5-I-2008 GREAT



Da quasi nove anni conservo con cura una bottiglia di Whisky vuota. Solo da qualche anno ho compreso l'importanza di questo oggetto: la data scritta sull'etichetta è quella in cui ho deciso che quel periodo NERO era concluso, che era arrivato il momento di uscire da una stasi cominciata il 27 luglio 2007.
Sicuramente anche grazie a Mario, uno di quel gruppo di amici che in quei mesi mi sono stati più vicini. Lui mi stiede vicino silenziosamente, amorevolmente e costantemente, come fosse la cosa più naturale del mondo. Mario lo conosco e lo frequento dal 1989, anno in cui cominciammo a frequentare insieme il liceo. Da allora qualche anno è passato, ed acqua sotto i ponti ne è corsa a fiumi, e non ho difficoltà ad affermare con tranquillità che Mario è diventato un punto di riferimento, un amico che al momento del bisogno è presente, e la cosa bella è che lui sa sempre quando è il momento del bisogno.

Dietro quella bottiglia e quella data c'è il ricordo di una serata passata insieme: da poco avevo subito un intervento, l'ultimo capitolo di una serie di cose poco divertenti che mi erano successe in quei mesi, finalmente era stato rimosso il tensore esterno che aveva permesso al mio omero sinistro di tornare integro. Era "esterno" per modo di dire dato che il suddetto strumento era stato avvitato al mio braccio perforandone carne e ossa per mesi, dunque c'era davvero motivo di festeggiarne la rimozione.

Quella sera di gennaio Mario giunse a casa mia con una bottiglia sigillata di Laphroaig, uno dei nostri whisky preferiti e, come spesso capita con lui, sorseggiando l'ottima bevanda che aveva già accompagnato altri momenti della nostra amicizia, cominciammo a filosofeggiare sull'origine dei venti e sulla percezione dei colori.

Era un sabato freddo ma non troppo, il cielo era coperto ma non pioveva e decidemmo di uscire a fare un giro per Palermo con la sua vespa. Prima di partire scrivemmo la data sull'etichetta, seguita dalla parola GREAT.

Rilassati dalla giusta quantità di Laphroaig ci dirigemmo verso la Magione. A quell'epoca tenevo sempre in tasca un iPod carico della musica che aveva accompagnato la mia degenza in ospedale. Dentro c'era anche una compilation fatta da Mario apposta per me.

Arrivati alla Magione praticamente vuota, ci sdraiammo sul prato continuando a filosofeggiare e ascoltando, con un auricolare ciascuno, pezzi dei The Cure. Era una Magione diversa da quella di oggi, più calma, almeno nei miei ricordi. Forse l'intera città era diversa, almeno nei miei ricordi.

L'aria era fredda, ma non gelida e forse ci addormentammo. Di sicuro eravamo entrambi immersi nei nostri pensieri e nell'ascolto della musica ad un volume alto, ma non troppo.

Saranno state le due o le tre del mattino quando il rumore forte di colpi di arma da fuoco e successivamente l'arrivo delle forze dell'ordine annunciate dalle sirene delle volanti, ci scaraventarono nuovamente nella realtà. Non ho ricordi precisi di quei momenti, ricordo soltanto che eravamo talmente rilassati che quei fatti non influenzarono troppo il nostro stato di benessere.

Tornammo a casa interi, e non sapemmo mai cosa accadde realmente quella notte alla Magione.

Il mattino dopo decisi che, una volta terminata, quella bottiglia di Laphroaig sarebbe stata conservata gelosamente insieme ai ricordi di quella notte.

domenica 23 ottobre 2016

autoritratto di un frammento della mia memoria.



C'è una foto a cui tengo molto: la fece mio zio Gianni tra il 1982 ed il 1984, non importa l'anno preciso. In questa immagine si vede un bambino magro, lentigginoso, con due incisivi "importanti" messi in evidenza da un sorriso che gli fa socchiudere gli occhi. Questo bambino ha le spalle nude, è estate, si trova nella casa a mare dove la sua famiglia trascorre le vacanze estive. Quel bambino sono io tra i sei e gli otto anni. Ricordo perfettamente l'istante in cui mi fu scattata questa foto: ricordo il calore dell'estate, la brezza marina, la serenità del momento, la tensione dei muscoli del viso per tirar fuori quel super sorriso, il gusto del succo di frutta alla pera e della brioscina con la nutella che avevo appena mangiato a merenda. Ricordo anche la posizione di mio zio, davanti a me un bel po' chinato per fotografarmi dalla giusta altezza. Ricordo anche tante altre piccole cose, altre no.

Della mia infanzia credo di avere molte foto, non ne sono sicuro perché non ho mai sentito la necessità di scorrere la mia vita attraverso le immagini di me. Crescendo e soprattutto da quando la mia vita è basata sulla "fotografia", ho sempre di più compreso che l'immagine non è l'unica parte del ricordo: un ricordo è l'elaborazione che il nostro cervello fa di un mix di sensazioni tattili, odori, suoni, sapori e anche immagini. Una volta elaborate, il nostro cervello decide se conservare tutto o una parte a lungo oppure no. Il bello del ricordo è che si tratta di un qualcosa che non è per forza totalmente aderente al reale, ma semplicemente è il nostro punto di vista su un dato momento che il nostro cervello ha deciso di archiviare per un tempo lungo. Ora, io non ricordo ogni istante della mia vita, ma neanche ogni giorno, e neppure ogni mese, non saprei dire neanche se ricordo almeno una cosa per ogni anno della mia vita (non vado oltre perché altrimenti si capisce che sono un po' rincoglionito), ma questo non vuol dire che il mio cervello si sia perso qualcosa: significa soltanto che il mio vissuto è racchiuso in una serie di informazioni, molte più di quello che immaginiamo, che il cervello conserva e tira fuori quando necessario, oppure tiene nascoste per qualche motivo.

Da un po' di tempo ho un'immagine apocalittica nella mia mente: un mondo in cui la memoria dell'umanità, i cui cervelli sono ormai incapaci di trattenere le informazioni derivanti dai sensi, è racchiusa in sequenze di zero ed uno dentro memorie elettroniche.

Vedo ogni giorno una grandissima quantità di persone che delega alla memoria di uno smartphone il dovere e l'onore di raccogliere i propri ricordi: ai concerti, in vacanza, in famiglia, ovunque non esiste situazione che "per non dimenticare" venga fotografata e archiviata nella memoria di un telefono, senza essere vissuta pienamente. L'attenzione che richiede l'utilizzo di un media come lo smartphone, ci toglie la possibilità di raccogliere le sensazioni necessarie per costruire un ricordo. Non viviamo appieno quel momento. Ovviamente non generalizzo, a volte si ha l'esigenza di fermare un istante con una foto, a volte se ne sente la necessità, mi riferisco agli eccessi, ed ognuno che leggerà queste righe sa a cosa mi riferisco.

Faccio il fotografo (almeno credo), dunque è ovvio che io non abbia assolutamente pregiudizi sulla fotografia, ed infatti qui non si parla neanche di fotografia, non parlo di analogico, non parlo di digitale, non parlo dell'uso terapeutico della fotografia, non parlo di quel tipo di appassionato che scatta milioni di foto inutili per il mondo intero ma utili per lui, non parlo di chi scatta anche quando non ne ha voglia ma deve farlo per vivere, non parlo di nulla che da vicino o da lontano si possa avvicinare alla fotografia, ma di annullamento dell'Io davanti alla vita.


sabato 6 agosto 2016

La 500 spiaggiata.




Spesso mi trovo a passare dal lungomare Cristoforo Colombo (quello di Villagrazia di Carini per capirci). E’ un luogo, per me, di grande interesse, dunque lo percorro sempre molto lentamente, per non perdermi nessuno di quegli scorci che puntualmente questo pezzo di costa dannato ogni volta mi concede. Oggi, io ed Eliana procedevamo un po’ più distratti del solito: l’ora era tarda, la luce non un granché ed il caldo insopportabile. Ad un certo punto ci accorgiamo di un auto spiaggiata, come se fosse una balena morente. Ci fermiamo, guardiamo attentamente la scena e ci rendiamo conto che si trattava senza alcun dubbio di un auto rubata e spogliata di tutto: motore, sedili, copertoni, cerchi, volante. Decidiamo immediatamente di chiamare i Carabinieri e segnaliamo la cosa alle forze dell’ordine. Intanto attorno a noi pochi bagnanti, che fino a quel momento si erano comportati come se si fossero trovati su una spiaggia vergine di qualche sperduta isola, ci guardavano straniti dal fatto che stessimo perdendo del tempo per quell’auto spiaggiata e, soprattutto, per quell’auto spiaggiata non nostra. Ci guardavano da lontano, come spaventati dalla possibilità che, avvicinandosi, potessero essere coinvolti in qualche modo in qualcosa in cui non volevano essere coinvolti. Immobili, con le mani sui fianchi ci scrutavano, come se per colpa nostra si fosse svelato che quella che per loro era una spiaggia vergine ed immacolata è in realtà una discarica lunga 5,6 Km. Non mi piacciono i cliché, i luoghi comuni e neanche fare di tutta l’erba un fascio, ma troppo spesso scorgo nello sguardo e nell’atteggiamento di troppe persone di ogni età ed estrazione sociale, una mentalità che non mi fa sperare bene per il futuro di questa terra. Oggi ho avuto paura non perché stessi correndo un pericolo, ma perché quegli sguardi facevano sentire strani noi che stavamo facendo una cosa normale e normali loro che facevano il bagno nell’immondizia.