giovedì 7 aprile 2016

Il Mastino.

Menfi (Ag), Agosto 2015.

Sono le 13:30 di una bollente giornata di piena estate siciliana. Mi trovo a Menfi, dove ho appena concluso una intensa mattinata di sopralluoghi e, stanco morto, accaldato ed affamato mi dirigo verso il mare per trovare un po' di refrigerio in una brioche fragola e limone. La strada, in pessime condizioni, è in discesa, stretta e piena di curve; io vado molto piano, sia per sicurezza che per godermi il paesaggio. La radio è spenta: sono talmente stanco che non mi dispiace percepire come unici rumori quello del motore ai bassi regimi e dell'attrito delle gomme sull'asfalto. Curva dopo curva sono sempre più vicino al mare. Ad un tratto, da dietro una curva, vedo una Fiat 126 rosso fuoco, nessun accenno di frenata, nessun accenno di sterzata: dritta davanti a me. Io sterzo a destra per cercare di evitare l'inevitabile impatto, mentre la 126 prosegue dritta, senza esitazioni. Una scena a rallentatore, entrambi non superavamo i 30 Km/h, entrambi increduli di ciò che sarebbe successo negli istanti seguenti: scontro frontale. La velocità molto ridotta mi aveva permesso di gustare per intero tutta la scena e di avere il tempo di esclamare: “ma che caxxx...”. Immediatamente un rumore sordo di metallo e vetro, poi il silenzio. Lo zaino con l'attrezzatura fotografica, che al contrario di me non indossa la cintura, è solo caduto dal sedile ed io non mi sono fatto nulla. La mia attenzione va immediatamente all'unica occupante della 126 rosso fuoco: una signora avanti con l'età, capelli bianchi, occhi vispi. La vedo seduta al posto di guida, immobile. Mi preoccupo, scendo dall'auto e mi affretto a guardare dentro l'abitacolo per verificare le condizioni della signora: trovo una donna fiera, con le mani sul volante ed un'auto carica di bidoni pieni d'acqua. Non ho il tempo di chiederle se si era fatta male che lei, dopo essersi affrettata a scusarsi per quel momento di distrazione, materna come tutte le donne del sud, si era già preoccupata delle mie di condizioni. Dovetti saltellarle davanti per dimostrarle che ero sano. Dimostrata la mia condizione, riesco finalmente a chiederle se stava bene e, porgendole una bottiglietta d'acqua che avevo con me, se volesse bere. Prontamente mi dice che sta bene e, afferrando uno dei bidoni più piccoli, che da bere ne ha in abbondanza. Finalmente riesco a convincerla a scendere dall'auto, posizionata malamente in piena curva e, fatte velocemente le foto del sinistro e spostate le auto da quella pericolosa posizione, la convinco a chiamare un parente per aiutarla nella parte burocratica relativa al sinistro. Durante l'attesa, le faccio i complimenti per la forza che una signora della sua età aveva dimostrato in una situazione come quella. Lei mi guarda teneramente e sorridendo mi dice una di quelle frasi di circostanza: “Con quante ne ho passate nella mia vita...una cosa come questa è niente”. Le rispondo con un sorriso e attendo figlio e nipote. Risolta la faccenda burocratica, saluto tutti e, con l'auto un po' malconcia, mi dirigo verso casa.

Una storia strana ma non troppo, una situazione come tante, se non fosse stato per quel cognome che già avevo sentito da qualche parte. Non quello da nubile che compariva sulla patente della signora, ma quello del figlio: un cognome che, dopo una breve ricerca, mi fece comprendere a cosa si riferisse quella donna quando parlava di ciò che aveva passato.

Il cognome è Guazzelli. La signora della 126 rossa era la moglie di Giuliano Guazzelli, il "Mastino" Guazzelli.

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